Scrivere è un mestiere, come fare il medico, il panettiere, la segretaria, l’insegnante, l’operaio, l’ingegnere etc.
Come ogni mestiere, richiede competenze specifiche, studi specializzati o comunque significativi, talento, passione.
No, non tutti possono scrivere. O meglio, tutti scrivono, ma non tutti possono farlo per professione. Scrivere è una competenza acquisita dall’uomo e messa a disposizione di tutti nell’ambito di una società civile. Il grado di alfabetizzazione di una società ne rileva il suo grado di civilizzazione.
Cosa significa scrivere per professione? Significa ricavare uno stipendio scrivendo. Ci sono molti mestieri in cui la scrittura è fondamentale: il giornalismo, la comunicazione, l’insegnamento, la traduzione, la ricerca, dove si producono in continuazione articoli o saggi. In tutti questi mestieri (sono certa siano molti di più), scrivere è parte fondamentale del lavoro e ci si ricava e trae uno stipendio. Poi c’è la letteratura.
Lo scrittore è colui che scrive opere di fantasia (a parte la saggistica e certa non fiction specialistica, tutto il resto è opera di fantasia, anche quando l’intento paia essere quello di riportare fedelmente i fatti), pubblicate sotto forma di libro (cartaceo o virtuale), vendute nei circuiti librari (fisici o virtuali) e conservate nelle Biblioteche.
Se non è istintivo leggere e scrivere, lo è invece raccontare storie.
Raccontare storie aiuta a sviluppare e a far crescere l’umanità di un popolo: le storie, che siano miti, leggende popolari, fiabe e favole, barzellette, moti di spirito, o semplici storie biografiche o autobiografiche, sono parte del dna dell’essere umano. Questa cosa, intuita da antropologi, psicologi, sociologi, è confermata da recenti studi sul cervello. Un bambino cresce e si sviluppa ascoltando e a sua volta raccontando storie.
Dunque, lo scrittore è colui/colei che prosegue da adulto e in modalità scritta questa innata propensione del cervello umano.
E lo fa seguendo un talento e una passione, dopo aver letto migliaia di libri e aver imparato delle tecniche, proprie di ogni professione.
In Italia manca un corso universitario di scrittura e questa mancanza, che probabilmente alimenta un mercato illusorio in cui tutti possono fare lo scrittore, visto che di fatto “nessuno” lo è, si ripercuote pesantemente sulla Letteratura italiana.
Se non si segue un corso regolare di studi, con una laurea e un concorso pubblico, nessuno può fare il medico, l’insegnante, l’architetto, l’ingegnere e via dicendo. E così, mutatis mutandis, per tutti gli altri mestieri. Solo per scrivere non esiste una laurea, un certificato, un bando, un concorso…
Scrivere è difficile, almeno quanto fare il medico o l’ingegnere. Forse meno difficile che fare l’astrofisico, ma non ci giurerei.
Intanto si lavora con le parole, con la propria intuizione, fantasia, creatività e umanità.
Poi si lavora su una lingua, plasmandola e adattandola alle proprie esigenze: coniugare espressività e chiarezza, riuscire a scrivere esattamente ciò che si vuole esprimere, usare certe espressioni, certi verbi, e non altri. E via andare: gli esempi sono molti.
Scrivere Letteratura è un mestiere, e come tale andrebbe trattato.
Si può vivere, oggi, di scrittura letteraria? È davvero difficile, quasi impossibile.
Anche chi è molto conosciuto e vende migliaia di copie (ma non è mai così! Certo mercato si alimenta di illusioni), non lo farà a lungo: o la sua produzione rimane regolare e costante, e il venduto pure, oppure prima o poi tutto il castello di carte crollerà. Eppure c’è chi vive scrivendo: lo fa spesso su commissione, come ghost, oppure per i giornali e i media. Sono scrittori esperti, forgiati da anni di pratica, persone metodiche che alla creatività associano disciplina, letture continue e scrittura per sei/otto ore al giorno.
Ma sono pochi: tutti gli altri necessariamente fanno un secondo lavoro.
Tutti scrivono, tutti pubblicano, pochissimi leggono: e qui arriviamo al grandissimo problema italiano. Una sovrapproduzione ingiustificata dal venduto reale.
Qual è lo scomodo ruolo di agenzie ed editor in tutto questo? Riconoscere la qualità e il talento, aiutare a farsi conoscere o sostenere gli autori e provare a vendere le opere agli editori.
E, saper dire dei NO.
No, non hai talento, no, ti manca la prassi, no, non hai letto abbastanza, no.
Il mercato degli editori a pagamento è come quei genitori che non sanno dire NO ai propri figli, alimentando illusione, capricci e mettendo tutti nei guai.
ps. In copertina Le fiabe italiane di Italo Calvino, il nostro massimo scrittore della contemporaneità. Questo libro nacque su commissione da parte dell’editore Einaudi, il talento dello scrittore ha fatto il resto.
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